I Bruzi (Brettii o Bruttii in latino) erano un antico popolo di stirpe italica, che si andava espandendo nella terra degli Enotri già sotto l’influenza delle colonie greche presenti sulla costa. Si insediarono soprattutto nel territorio del Tirreno Cosentino dalla seconda parte del IV sec. a.C. dopo che emancipati dai Lucani, di cui furono schiavi, sciamarono in Calabria dando luogo nel 356 ad una federazione di tribù di cui Cosenza era il suo centro nevralgico. Cosentia, il cui nome antico è stato tramandato nei secoli quale “capitale” dalle tribù Brettie coalizzate in una lega.
Le loro città erano centri fortificati collocati su alture dominanti. Gli insediamenti più importanti, ricordati dalle fonti antiche, sono Pandosia, l’antica capitale degli Enotri, Petelia, Ethai, Clampetia, Aufugum (Montalto Uffugo), Berge, Besidiae (Bisignano), Otriculum, Argentanum (San Marco Argentano) e Blanda Julia (dagli scavi presso Tortora, inizialmente città originaria degli Enotri). Tuttavia i principali ritrovamenti vengono dalla costa tirrenica cosentina, in particolare dalla zona di Cetraro, dove è stata studiata la sua necropoli. Al contrario di centri organizzati, qui siamo in presenza di agglomerati sparsi o piccolo villaggi. Queste unità abitative a carattere essenzialmente rurale, si sviluppavano lungo la costa e in prossimità di vasti terreni coltivabili. Infatti, questa popolazione indigena ben si saldava all’orografia circostante, cercando di sfruttare le risorse disponibili. Principalmente si collocano in situazioni di contrafforti collinari, a mezza costa con accesso prominente sul mare, probabilmente in prossimità di buoni approdi costieri. In modo particolare lungo il corso del fiume Aron. Proprio in virtù del tipo di territorio questa popolazione viveva principalmente di agricoltura e di pesca.
Vista a volo d’uccello su Cetraro durante il IV e III sec. a.C. in cui gli abitati di tipo rurale (fattorie) facevano parte della koine Brettia.
La principale fonte d’informazioni sullo stile di vita di questo popolo ci viene dalle sepolture. Nel caso di Cetraro, la località Treselle ci ha fornito ritrovamenti di grande interesse. Gli abitanti del villaggio in prossimità di Tresella, che realizzarono la necropoli, frequentarono la zona solo dal 325 al 275 a.C. circa. Infatti la necropoli presenta solo 12 sepolture sparse lungo la radura e raggruppate in piccoli nuclei familiari.
Nel sito della Necropoli di Treselle sono state ritrovate tombe del tipo a cassa o alla cappuccina. Avevano una fossa scavata nella terra e rivestita in tegole di cotto. Il corpo del defunto era deposto supino con il corredo funerario collocato ai suoi piedi o disposto ai fianchi e vicino alla testa.
Senza dubbio la Tomba 1 (la Tomba del Guerriero di Treselle) è la più importante del contesto della necropoli. Datata all’ultimo quarto del IV sec. a.C., si tratta di una tomba a cappuccina semplice, orientata est-ovest, appartenente ad un individuo adulto di sesso maschile con età compresa tra 20-25 anni.
Tra i materiali di corredo una discreta presenza di armi offensive e in un caso di un elemento difensivo (il cinturone bronzeo) attestano una vocazione guerresca, tramandata anche dalle fonti antiche. Il tipo di armi di corredo richiama quello tipico delle popolazioni italiche guerriere, quali Sanniti, Apuli e Lucani, evidenziando un’origine comune. Il ritrovamento di spiedi, 3 o 4 di solito con una coppia di alari, quali oggetti d’imitazione d’uso quotidiano, ci dicono qualcosa in particolare sul rito della cottura della carne, evidentemente molto importante (come narrato fin dall’epoca omerica). Mentre nelle sepolture femminili sono stati trovati piccoli oggetti da “toeletta”, specchi e pesi di telai, rimandando principalmente al mondo tessile.
Scena di sepoltura dalla necropoli di Treselle, prototipo di tomba “alla cappuccina” con deposizione del corredo del defunto.
Deduciamo dai ritrovamenti e dalle descrizioni degli storici che questo era un popolo sempre pronto a combattere, la cui società seguiva un ordine gerarchico che vedeva sul gradino più alto i cavalieri/guerrieri. Le classi meno abbienti erano perlopiù dedite all’agricoltura e alla pastorizia, s’insediavano infatti in piccoli villaggi e fattorie, sparse sui contrafforti collinari che guardavano le valli. Erano però anche abili artigiani nel lavorare la terracotta e il bronzo, come è attestato dai numerosi ritrovamenti di fornaci.
I Bretti erano anche conosciuti per la loro attività boschiva nella produzione di legname, sempre abbondante nelle secolari aree boschive della Sila e del Pollino. Rinomata è la pix Bruttia (pece Bruzia), un tipo di pece apprezzata e utilizzata nelle operazioni di impermeabilizzazione degli scafi lignei delle navi, per sigillare e rendere impermeabili i contenitori in terracotta e nei procedimenti d’invecchiamento del vino. Fin tanto da avere una produzione locale dei contenitori per il trasporto di questa pece, contrassegnati attraverso un bollo PIX BRUT. Sembra che in passato i pescatori del Tirreno ritrovassero delle forme solidificate di questa pece, trasportate dalle navi e poi finite sui fondali.
Nell’abitudine alimentare Brettia si denota un consumo abbondante di cereali, legumi e frutta. Da Plino sappiamo che fra i Bretti era rinomata una tipologia di cavolo a foglia larga e sapore forte: i cosiddetti cavoli bruttini. Consumavano e commercializzavano fichi, pere e melograni e alcune piccole mele menzionate da Catone. Erano rinomati produttori di vino e olio, che tutt’oggi è prodotto in abbondanza negli stessi luoghi.
Alla pratica della pastorizia è legato il consumo di carne ovina e caprina, con produzione di formaggi, e quella ovviamente suina da cui è rinomata la produzione di salsiccia aromatizzata. L’origine lucano-brettia della salsiccia, prodotto altamente conservabile e trasportabile, è documentata da Varrone, il quale ci ricorda come i legionari romani avessero appreso dai Lucani come prepararle. Questa produzione alimentare di carne e formaggi è attestata ancora oggi nelle campagne calabresi e lucane con le stesse modalità di produzione.
Data la vicinanza dei siti alle zone costiere e dai piatti ritrovati per il consumo del pesce, appare evidente che i Bretti consumassero in grande quantità di tonno, pesce spada, pesce azzurro e la famosa salsa del garum. Anche di queste attività sembra sia rimasta traccia nel corso dei secoli.
Nelle sepolture sono state ritrovate alcune monete bronzee di Thurii. Oltre alla funzione del rito di passaggio, legata al traghettamento favorevole di Caronte attraverso lo Stige, ci fanno supporre di traffici e contatti che questa gente aveva con le comunità stanziate della Magna Grecia.
Scena a carattere rurale, sullo sfondo le tipiche fattorie Brettie sparse sul territori del Monte Serra, facenti parte della koine Brettia.
Questo popolo trova il suo principale momento nella storia tra il IV e il III secolo a.C. Sarà proprio Strabone (VI, 253-255) nella sua Geografia a descrivercelo dalla sua comparsa al suo declino:
Poco oltre i Lucani ci sono i Bretti, che abitano una penisola, la quale a sua volta comprende un'altra penisola il cui istmo va da Skylletion fino al golfo di Hipponion. Il loro nome è stato dato dai Lucani: questi i ribelli li chiamano appunto "bretti". Secondo la tradizione, i Bretti che prima erano dei pastori al servizio dei Lucani e poi si affrancarono, si rivoltarono contro di essi esattamente allorché Dione portò guerra a Dionisio e fece sollevare tutti questi popoli gli uni contro gli altri.
Scena con pastore Brettio e fattorie sullo sfondo della costa cetrarese, in lontananza il porto e la località di Santa Barbara.
I Lucani, i Bretti e gli stessi Sanniti, che furono i loro progenitori, sono talmente decaduti che risulta difficile persino distinguere i loro insediamenti. La ragione va ricercata nel fatto che di ciascuno di questi Popoli non esiste più alcuna organizzazione politica comune, sono scomparsi i dialetti, si è perduto l'uso degli abbigliamenti militari e civili e di altre cose del genere; per altro, i loro insediamenti, considerati uno per uno e nei particolari, sono del tutto insignificanti.
Strabone
La loro civiltà perdurò quasi un secolo, finché fu spazzata via dall’arrivo dei Romani, sull’onda della Seconda Guerra Punica, poiché fecero l’errore di schierarsi a favore dei Cartaginesi.
Ne resta la memoria grazie soprattutto alle sepolture, disposte nei pressi dei villaggi. Il loro corredo tombale variegato, da 5 fino a 25 pezzi, con prevalenza di ceramica collegata al rituale del simposio, per bere e per mangiare, ci offre uno spaccato di vita semplice e rurale, in cui spesso è ricorrente l’eredità lasciata dal mondo Greco.
La storia ci tramanda i Bretti come un popolo di stirpe Indoeuropea a connotazione nomade, di linguaggio osco, di animo rude e bellicoso, con grande voglia d’indipendenza e libertà, che fu la spinta per l’iniziale grandezza ma allo stesso tempo li condusse lentamente al tragico epilogo.
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Qui in basso alcune pagine scelte dal taccuino. Sono state la base di studio, con appunti, schizzi e bozzetti preparatori, per completare il lavoro sulle ricostruzioni del Museo dei Brettii e del Mare a Cetraro: