Quante persone hanno sentito parlare di Atene, della splendida città che ha dato vita alla prima forma di democrazia; chi non conosce l’Acropoli di epoca classica con il suo troneggiante Partenone? Dimenticatevi di tutto questo, tornate indietro nel tempo (al 1200 a.C. circa) e calatevi nei panni di un visitatore dell’epoca. Vedrete una fortezza micenea molto diversa (forse non del tutto) dalle immagini classiche a cui siamo stati abituati.
L’estratto proviene dal primo dei miei due articoli per la collana “Musint le collezioni archeologiche egee e cipriote in Toscana. Ricerche ed esperienze di museologia interattiva“, stampata nel 2012 dalla Firenze University Press, a cura di A. M. Jasink, G. Tucci, L. Bombardieri.
- L’epopea omerica. Atene e Menesteo: ricostruzione virtuale di una città e del suo eroe all’interno di un percorso didattico.
- L’epopea omerica. Tecniche di ricostruzione multimediale.
Ricostruzione pianta (in alto) e vista a volo d’uccello (in basso) dell’Acropoli di Atene intorno al 1200 a.C.
Avviciniamoci alla fortezza immaginando di vedere dall’alto la rocca dell’acropoli, come dagli occhi di un’aquila. Il regale volatile, sacro a Zeus, plana di passaggio sull’Attica, sopra un territorio molto vicino al mare, ricco di sorgenti d’acqua che provvederanno al suo ristoro e a trovare nuovo cibo. Lo sguardo acuto del rapace si concentra su di un colle roccioso, di origine naturale che spicca particolarmente sulle altre alture. Ci troviamo di fronte all’insediamento umano più importante della zona, per presenza di acqua, per vicinanza al mare e per il controllo visuale sui territori confinanti di Eleusi e dell’isola di Salamina. Non vi è infatti altro abitato così grande e ben fortificato nel periodo miceneo da fargli concorrenza nella zona.
Tutto intorno al colle si è sviluppata la città bassa, del tutto lontana dagli schemi urbani moderni. Questi insediamenti sviluppati intorno all’Acropoli, come sarà chiamata in epoca successiva, sono più evidenti a sud e a est. Appaiono come agglomerati sparsi, case basse l’una vicina all’altra, dall’inconfondibile colore di terra cruda. Si tratta di edifici semplici ad un piano, ma siamo troppo lontani per distinguerne i tratti. Dall’alto del volo ci sembrano chiazze di terra contornate da verde intenso di alberi e piccole coltivazioni. A nord-ovest della rocca si distingue una zona particolare, dove sorgono principalmente i luoghi di sepoltura dei clan del posto. Come per altre città achee dello stesso periodo, le tombe appaiono allineate lungo le strade principali seguendo i declivi. Sono ben visibili tutte le strade, grazie alla ghiaia con la quale vengono battute. Ricordano la muta di un serpente gigante che si snoda in tutte le direzioni e intorno all’Acropoli, conducendo all’accesso principale e a quelli secondari. Anche da Omero, attraverso l’epiteto di Atene “dalle ampie strade”, lascia trapelare una menzione importante sulle vie di collegamento.
A prima vista Atene, nella fattispecie l’Acropoli, appare molto diversa dall’immagine classica tanto studiata e conosciuta ai giorni nostri. Doveva sembrare molto più cupa e povera, spoglia dei materiali pregiati, del bianco marmo pario. Ma è proprio da questo nucleo miceneo, già avviato all’epoca della Guerra di Troia, da cui partirono ben 50 navi sotto la guida del re Menesteo, che nacque in seguito la città più grande della Grecia.
Ricostruzione accesso principale dell’Acropoli di Atene intorno al 1200; la rampa per la salita girava intorno al Bastione della Nike, probabilmente torre d’osservazione con sacrario di passaggio nella nicchia.
Torniamo a noi, all’ingresso principale c’è un viavai in questo momento, pullula di vita. Ci troviamo nella parte occidentale dell’Acropoli, dove 770 anni dopo l’architetto Mnesicle avrebbe eretto i Propilei. C’è una figura vestita con abiti discinti, spicca sugli altri e segue con curiosità la lenta processione che ascende alla fortezza. Indossa una tunica di lino pesante, stretta in vita da una cinta, al di sopra porta un mantello color porpora. Barba e cappelli sono lunghi, questi ultimi fermati sulla fronte da una fascia dello stesso colore del mantello. La barba invece ha un taglio strano, alla moda per l’epoca: priva di baffi con il pizzo più lungo. Si tratta di un araldo, una sorta di diplomatico con funzione di ambasciatore. È di ritorno con importanti notizie per conto del sovrano. Pensa tra sé, quali siano stati i motivi per costruire lì l’accesso principale.
Sul lato occidentale il declivio è sicuramente meno impervio; dagli altri lati la rocca appare invece ben protetta. La polverosa rampa non sembra affatto naturale, ma ricorda molto la tecnica adottata per la fortezza di Tirinto: un terrapieno sorretto da una semplice muratura. Il sentiero, snodandosi per evitare ripide salite, è largo tanto da consentire l’accesso ai carri e agli animali che scorrono veloci accanto. Prima di giungere all’ingresso l’araldo passa di fronte al bastione: un’immensa struttura, dove in epoca classica sorgerà il tempio di Atena Nike, riprendendone i connotati. Nella muratura Ciclopica dal particolare apparecchiamento, che trova dei confronti con altre architetture dell’epoca, si apre una nicchia con una colonna monolitica. All’interno ci sono alcune offerte votive, anche il diplomatico, come molti altri prima di lui, lascia qualcosa in questa sorta di sacrario d’ingresso. Soltanto quando si trova ai piedi del bastione percepisce la sua maestosità, caratteristica che deriva dal suo ruolo secondario, non meno importante, quale osservatorio difensivo. Per questo motivo l’altezza della terrazza Ciclopica è stata implementata con una sovrastruttura a mattoni crudi. In cima ai merli si notano delle figure con elmo, armate di archi e lance. Mentre, girando intorno alla terrazza, una lunga fila di persone arriva dall’interno della cittadella fino alla torre. Questo tipo di processione è una pratica usuale. Il messaggero acheo non se ne stupisce, avendole spesso viste raffigurate negli affreschi dei palazzi.
Non è la prima volta che entra in città, ma la maestosità dell’ingresso lo colpisce sempre: mura possenti fino a 6 m di spessore, composte esternamente da grandi blocchi di calcare tratti dall’acropoli stessa e nel paramento interno da una struttura analoga con dimensione dei conci più ridotta. Il riempimento tra i due muri è di terra e pietre piccole per rendere più stabili i corsi. In alcuni casi, le superfici mostrano tracce di lavorazione a scalpello. La fortificazione varia nella sua altezza a seconda del piano di posa, raggiungendo un massimo (ipotizzato) di 10 m; lo spessore invece non era costante, in media si aggira sui 4,5 m. Si dice che queste mura furono erette dai Pelasgi, un popolo dall’oscura e antica tradizione. Doveva trattarsi di giganti a pensarci bene.
L’ingresso principale si trova alla fine della via in salita, dove le mura vanno a restringersi e la porta non è frontale ma posizionata dietro un angolo. Il messaggero acheo conosce bene il motivo di questo accorgimento difensivo tipico dell’epoca: il fine costruttivo è quello di creare davanti alla porta uno stretto cortile, in modo da rendere quanto più difficile il passaggio al nemico. In più, questo accorgimento impediva l’utilizzo di arieti d’assedio, eliminando la rincorsa necessaria per lo sfondamento. Gli avversari da un lato erano costretti a diminuire il loro numero, dall’altro ad essere esposti ai colpi della guarnigione dell’acropoli da entrambi i lati. Il fianco destro degli assalitori era molto più esposto agli attacchi dal bastione e dal lungo muro di cinta, poiché lo scudo solitamente veniva impugnato a sinistra.
Dopo la riflessione sulle difese ateniesi, l’araldo attraversa la porta controllata dalle guardie. Lo lasciano passare perché lo conoscono, fermano invece un carro con il suo conducente che trasporta sacchi di grano; dice di venire dalla zona di Orcomeno. Proseguendo, la strada principale si biforca in altri sentieri più piccoli: diritti si arriva verso la parte più alta della rocca, i terrazzamenti dove sorge il palazzo del sovrano. È questo il sentiero imboccato dal diplomatico, ormai madido di sudore si asciuga la fronte.
Si sofferma a riprendere fiato a margine della strada, dopo aver percorso la maggior parte del tragitto in salita. Ha un’esitazione guardando gli edifici all’interno dell’acropoli. Molti di quelli che vede non li ricordava. Sono sorte nuove costruzioni, principalmente si tratta di piccole abitazioni, accostate alle pareti della cinta muraria, in stretta relazione di orientamento con queste. La tecnica costruttiva è la medesima delle altre: si tratta di murature composte di piccole pietre
non lavorate, giunte con un impasto di fango, le sovrastrutture sono in mattoni essiccati. La struttura portante in pietra può raggiungere 1 m di altezza e in alcuni casi le sue fondamenta poggiano direttamente sulla roccia. Sono case molto povere, intonacate con fango, con stanze dagli spazi ampi e rettangolari. All’interno di una di quelle case avrebbe trovato sicuramente riparo alla calura del giorno.
Sezione accesso sorgente (Fountain House) sul lato nord dell’Acropoli micenea di Atene; con vista della scalinata per la discesa alla fontana.
Forse, ancora meglio, sarebbe stato seguire un’altra via, un’altra processione di persone, per lo più di donne dalle ampie vesti, intente a portare sulle spalle e sopra la testa delle anfore. Avrebbe dovuto scendere nelle viscere della roccia per recarsi alla sorgente, e lì avrebbe trovato fresco e ristoro alla gola arsa. L’accesso, esclusivo della fortezza, avviene mediante una galleria perpendicolare al circuito di difesa. All’interno, il passaggio sotterraneo si inoltra con otto rampe di scale (alcune delle quali lignee) fino alla sorgente posta a 34,5 m di profondità, dove un pozzo ad alveo raccoglie l’acqua. Qui c’è sempre una costante fila, durante tutto il giorno, per raccogliere dalla sorgente sotterranea tutta l’acqua necessaria. Il messaggero riprende il cammino verso le prime strutture del palazzo. Si tratta di corpi gran parte delle strutture di potere, di cui le sale più importanti sono conosciute per essere ornate da leggendarie opere di scultori famosi, quali Dedalo e Talo. Per l’accesso principale, sul lato occidentale, occorre superare un dislivello attraverso una scalinata, la cui ampiezza misura circa 2,40 m. Superata l’ampia scalinata, l’araldo si trova a dover attraversare una serie di corti rettangolari interne, circondate da porticati e magazzini per lo stoccaggio delle derrate alimentari, prima di arrivare al vero cuore pulsante della città.
A quest’ora del pomeriggio c’è ancora molto movimento attorno al palazzo, soprattutto nelle sale di attesa e di fronte alle stanze degli archivi. Più in là, probabilmente all’esterno delle terrazze, si avverte un vociare concitato. Finalmente, da una corte interna, si para d’innanzi il megaron, di grandi dimensioni e composto da uno studio dell’ambiente piuttosto regolare, con proporzioni ben armonizzate. Forse l’edificio più curato dal punto di vista dei materiali e della lavorazione.
Colorate colonne di legno si stagliano su basi in calcare grezzo, alcuni scalini sono ricavati con grandi lastre di arenaria e le “corna di consacrazione” coronano l’edificio troneggiando dall’alto. Basta un primo sguardo per capire proporzioni e simmetrie, evoluzione di centinai di anni nella costruzione di questo tipo di struttura. L’interno è tripartito ed è in comunicazione con l’esterno tramite il protiro, o vestibolo. Questo presenta due colonne tra setti murari angolari ed immette nella prima camera mediante tre porte. A seguire c’è il prodromos, una sorta di antisala con una porta di accesso per la grande sala di rappresentanza: un grande vano quadrato con al centro il focolare rotondo, cinto da quattro colonne. Esse sorreggono la parte del tetto aperta per far uscire il fumo. La copertura non avrebbe potuto poggiare solamente sui setti murari, per cui le colonne, posizionate simmetricamente in numero pari, alleggeriscono lo sforzo, determinando anche la suddivisione in tre parti del fronte.
Dopo una vera e propria esplorazione del megaron, dalle pareti finemente affrescate in stile minoico, il diplomatico si accorge di qualcosa: l’interno è vuoto, non c’è nessuno.
<<Il sovrano è all’esterno, prepara le sue schiere>> replica con poche parole la guardia a presidio dell’ingresso.
Poco lontano dal palazzo c’è un’area, per lo più pianeggiante, dove spesso si radunano i carri da guerra; qui il re è impegnato nell’addestramento dei suoi generali e delle loro aurighi.
Intento a dettare ordini dal veloce carro da guerra, riesce a schierare carri e guerrieri armati di grandi scudi con abilità, tanto da essere stato paragonato al saggio Nestore, più vecchio di lui d’età. Non solo dedito a imperativi ordini militari, risultava accattivante ed eloquente nel modo di parlare alla folla riunita, riuscendo sempre a districarsi nei suoi intenti. Tutti ben conoscevano il mitico eroe attico Teseo – precedente sovrano di Atene – prima che fosse destituito da Menesteo. Infatti, il nobile discendente di Eretteo parlando fece sollevare il popolo contro Teseo, il quale era assente dal regno perché prigioniero in Tesprozia. Quando Teseo liberato fece ritorno in patria, si trovò scalzato dal trono e dovette allontanarsi. Menesteo si era ormai conquistato il favore del popolo e restò re alla guida degli Ateniesi.
Il sovrano spicca sugli altri, indossa un elmo a zanne di cinghiale con un alto cimiero, sulle spalle un semplice mantello e alcuni monili di tipica provenienza egizia. Proprio questi ultimi preziosi denotano le sue origini egiziane.
Dopo aver lungamente osservato la scena, l’araldo decide di avvicinarsi allo sciame di carri e uomini, finché non viene notato dal signore di Atene che, fermatosi, dal carro gli dà la parola.
<<Salve Taltibio, cosa ti porta qui?>>
<<Menesteo, wanax di Atene, porto notizie da Agamennone signore di Micene. È tempo per l’adunata in Aulide, per andare in guerra contro Troia!>>
Poiché Menesteo fu uno dei pretendenti alla mano di Elena, partì con cinquanta navi dal porto di Falero, l’antico porto di Atene. Poco menzionato durante i combattimenti, sarà uno degli eroi che entrerà nel cavallo di legno per tendere il tranello ai Troiani. La sua fine è controversa: secondo alcune leggende venne ucciso nei combattimenti presso Troia da una guerriera Amazzone. Dopo la sua morte gli successe il figlio di Teseo Demofonte, ristabilendo la mitica dinastia dei re di Atene (vedi scheda I re di Atene fino al 1200 a.C.); così i discendenti di Teseo continuarono a regnare per altre quattro generazioni.